Ho letto sul quotidiano La Stampa, tempo fa, un articolo di cui ho riportato il titolo e che mi ha molto interessato, ho cercato traccia di questo articolo nell’archivio sul sito del giornale, ma invano.
Oggi l’ho fininalmente trovato, ci sono arrivata attraverso il blog dell’autore, Alessandro D’Avenia
Provo a riassumerlo o a riportare quei concetti che mi hanno coinvolto maggiormente.
Perchè mito? Secondo l’autore si tratta di un mito, perchè nell’uso generico di smartphone, social, pc i nativi digitali, i ragazzi, sono rapidissimi, ma quando si tratta di operazioni più complesse…chiedono aiuto. ( Non è la stessa premessa che ci ha fatto il proofessor Formiconi nel post “Vediamo un po’ di HTLM” “E perché no, per pavoneggiarsi con i nativi digitali, in realtà quasi sempre molto incompetenti, meri cliccatori compulsivi” !?!)
Il mito in fondo altro non è che una narrazione in cui nascondiamo un altro mostro: la paura. La paura della rapidità del progresso di questi anni, dei ritmi di vita a cui siamo sottoposti con la conseguenza che il dialogo tra generazioni, già di per sè arduo, si inceppa ancora di più.
Non è ridurre la Divina Commedia in twett da 140 caratteri inviati da Dante a renderla interessante agli occhi di un sedicenne.
La tecnologia (dalla lavagna al tablet) resta quella di sempre: un alleato per afferrare lo stato di veglia dei ragazzi e incanalarlo verso l’attenzione. Ma l’attenzione resta compito di inseganti ed educatori, dotati della tecnologia eterna della “parola”.
Il mostro è la mancanza di disponibilità all’ascolto, a spendere tempo di qualità per i ragazzi.La motivazione di uno studente è dentro di lui e viene attivata dal docente: non c’è nessun dispositivo che possa far miracoli in tal senso.
Ma noi, pur di non guardare in faccia il mostro, chiediamo miracoli al dio scintillante della tecnologia.