Scrittura collaborativa

Nel laboratorio il prof ci propone la traduzione dell’articolo (lo scrivo direttamente in italiano) “Espandendo la zona di capacità riflessiva: unendo percorsi diversi”

L’articolo è in inglese: questo può costituire un problema.

Per me lo è, sicuramente.

Eppure il prof scrive di “creare valore al problema”. E così è stato!

Le mie competenze in inglese sono a livello elementare, soprattutto per quanto riguarda la competenza dello speaking, la competenza relativa alla comprensione è un filino più alta, però mi butto e inizio a tradurre. Mi metto alla prova con il paragrafo “I partecipanti”, perchè mi sembra alla mia portata e accessibile alle mie capacità. Mi cimento e riesco a tradurre. Provo una grande soddisfazione che presto si trasforma in motivazione e la motivazione in energia che mi porta a provare ancora, anche con le parti più complesse. Ad un certo punto del mio gironzolare nel brano da tradurre mi imbatto in una sezione  già avviata da altri e qui incontro una “compagna” del lavoro collaborativo, Claude: io vivo la sua presenza e i suoi interventi come un sostegno e un incoraggiamento.

Ora sto continuando a tradurre, con calma (la scuola è ripresa, nella tranquillità delle vacanze natalizie era più facile approdare al wiki), ma la calma, intesa come opportunità di concentrarsi sulla qualità e quindi di lavorare bene, è proprio un ingrediente base del laboratorio.

Da questa esperienza ne ricavo:

  • l’importanza della motivazione e della capacità del maestro di saperla tirare fuori da ognuno dei suoi alunni,
  • la voglia di conoscere e imparare che non va spenta, ma alimentata in continuazione,
  • imparare “sporcandosi le mani”,
  • la conferma della validità dell’apprendimento collaborativo chedi  solito chiedo ai miei alunni e che questa volta, più di altre, ho vissuto in prima persona,
  • un assaggio del modello di apprendimento denominato Connettivismo: “è il web stesso  a costituire e dar luogo e forma all’apprendimento” (Boca Pace Severino- Apprendimento- Relazioni sociali e nuove tecnologie – Edizioni Unicopli) E ancora “Il connettivismo pone l’accento sulla possibilità dei soggetti di attuare una scelta consapevole rispetto a ciò che vogliono imparare definendo essi stessi i percorsi del proprio apprendimento in funzione delle necessità  e dei problemi che sono chiamati ad affrontare” (opera citata).

Ecco, riprendo e chiudo con quello che ho scritto in apertura: c’è stato un problema, ma mi è stato possibile definire un percorso gratificante che mi ha portato ad affrontarlo, risolverlo e trasformarlo in risorsa.

“Il mito dei nativi digitali”

Ho letto sul quotidiano La Stampa, tempo fa, un articolo di cui ho riportato il titolo e che mi ha molto interessato, ho cercato traccia di questo articolo nell’archivio sul sito del giornale, ma invano.

Oggi l’ho fininalmente trovato, ci sono arrivata attraverso il blog dell’autore, Alessandro D’Avenia

Provo a riassumerlo o a riportare quei concetti che mi hanno coinvolto maggiormente.

Perchè mito? Secondo l’autore si tratta di un mito, perchè nell’uso generico di smartphone, social, pc i nativi digitali, i ragazzi,  sono rapidissimi, ma quando si tratta di operazioni più complesse…chiedono aiuto. ( Non è la stessa premessa che ci ha fatto il proofessor Formiconi nel post “Vediamo un po’ di HTLM” E perché no, per pavoneggiarsi con i nativi digitali, in realtà quasi sempre molto incompetenti, meri cliccatori compulsivi”  !?!)

Il mito in fondo altro non è che una narrazione in cui nascondiamo un altro mostro: la paura. La paura della rapidità del progresso di questi anni, dei ritmi di vita a cui siamo sottoposti con la conseguenza che il dialogo tra generazioni, già di per sè arduo, si inceppa ancora di più.

Non è ridurre la Divina Commedia in twett da 140 caratteri inviati da Dante a renderla interessante agli occhi di un sedicenne.

La tecnologia (dalla lavagna al tablet) resta quella di sempre: un alleato per afferrare lo stato di veglia dei ragazzi e incanalarlo verso l’attenzione. Ma l’attenzione resta compito di inseganti ed educatori, dotati della tecnologia eterna della “parola”.

Il mostro è la mancanza di disponibilità all’ascolto, a spendere tempo di qualità per i ragazzi.La motivazione di uno studente è dentro di lui e viene attivata dal docente: non c’è nessun dispositivo che possa far miracoli in tal senso.

Ma noi, pur di non guardare in faccia il mostro, chiediamo miracoli al dio scintillante della tecnologia.

Un intervento sul cyberbullismo di G. Nicoletti

Il cyberbullismo si combatte con il Codice, ma si combatte anche con la cultura digitale.
Un minuto di Gianluca Nicoletti

In questa esperienza di alfabetizzazione del cyberspazio mi sembra importante una riflessione sul cyberbullismo, consapevole che non basta il video di Nicoletti per esaurire il problema del bullismo in rete.

Mi sembra però che l’osservazione del giornalista sia in linea con la filosofia del laboratorio: non basta un codice, occorre una cultura, quindi  conoscenza,  competenza e consapevolezza, quel filo rosso che si muove con leggerezza, ma forza, ed eleganza, nei post di #loptis.